Sicilia l'Isola da amare
anche attraverso il recupero della memoria storica delle nostre radici

* LO STUDIO FONETICO DEL DIALETTO NISCEMESE di Gaetano Vicari

Lions Club Niscemi Presidente: Francesco Mongelli

Non sempre le nostre radici sono testimonianze “silenziose”  della nostra storia e della nostra società. Talvolta esse “ci  parlano”, fluendo come un fiume in piena, attraverso le parole  e i gesti di una comunità come quella niscemese, che cerca  di custodire ancora le “parole antiche della sua “parlata”… Ma  come accade per tutti i dialetti, anche quello niscemese va  perdendo nel tempo i suoi accenti, e con essi il “suo colore, il  suo sapore, la sua stessa identità” a causa del lento, progressivo  ma inesorabile “spegnimento” che accomuna indistintamente  tutti i dialetti: come un contagio che giorno per giorno si diffonde,  anche a causa dell’incessante massificazione e globalizzazione  operata dai mass – media che portano verso un’italianizzazione,  purtroppo neanche sempre corretta. (G. Catanzaro e Z. Navarra)

Lo studio fonetico di un sistema linguistico  rende paritaria l’importanza tra lingua e dialetto.  Almeno in questo i due codici hanno la stessa  dignità.

In tutti gli studi specifici effettuati sui due  sistemi linguistici mai nessuno studioso ha reso  antitetici l’italiano e i dialetti, i quali godono dei  favori di tutti gli specialisti (glottologi, dialettologi,  linguisti).

Il termine “parlata” niscemese viene utilizzato  come riferimento a quel codice linguistico che  appartiene alla comunità di Niscemi.

L’originalità dei nessi e la particolarità di alcuni  suoni caratteristici la differenziano dai dialetti  129  viciniori, anche se, specialmente col dialetto gelese,  essa ha numerosi punti fonetici in comune.

La cristallizzazione dei suoni del lessico è  un’operazione che si rende necessaria per monitorare  e, quindi, individuare gli stadi evolutivi, o  involutivi, della parlata.

Il confronto tra pronuncia passata e presente ci dà  la misura dello spostamento o meno verso la lingua  italiana verso la quale tendono tutti i dialetti.

Accanto ai risultati fonetici vi è un’indagine  statistica sullo stato di salute delle parole dialettali,  a distanza di poco più di dieci anni dal primo  rilevamento.

I risultati non si discostano in modo evidente  da quelli precedenti, ma comunque contengono il  germe del lento e progressivo “spegnimento” del  dialetto.

La nuova generazione non riesce a riprodurre i  suoni caratteristici del dialetto (“e” evanescente, le  cacuminali t e d) che non vengono più applicati  alle parole che li contengono e che, di conseguenza,  non vengono più riprodotti correttamente  nelle stesse.

Lo studio vuole rappresentare una tappa di un  processo che si spera non sia di una definitiva e  perentoria scomparsa.

L’ORALITÀ

Il dialetto niscemese odierno è la testimonianza  del nostro passato linguistico ed è anche una parlata  reale e attuale sicuramente diversa da quella  originaria.

Infatti, chi avesse intenzione di ascoltare dalla  viva voce delle persone il dialetto niscemese, non  quello odierno, ma quello degli anni Venti o  Trenta, rimarrebbe certamente deluso.

Anche se oggi esistono persone anziane che  sono vissute in quel periodo il loro dialetto non è  rimasto affatto inalterato: i mass-media e la gente  in continuo movimento per l’Italia hanno sconvolto  l’originario assetto linguistico della nostra  parlata di ieri che ha perso il suo colore, il suo  sapore e gran parte della sua identità a causa dell’evoluzione  linguistica sempre più volta verso una  fase italianizzante come lo dimostra la seguente  serie di esempi:

armàdiu non ammuarri

gola non cannarozza

maturu non cunchiutu

cuscinu non chiumazzu

diciottu non dicirottu

sutta non iusu

nonna non nanna

scummissa non mprisa

fazzulettu non mmuccaturi

fògghia non pàmpina

signurina non schetta

estati non stasçiuni

risparmiari non sparagnari.

Il progresso linguistico, tecnologico e scientifico ha spazzato via i termini dialettali designanti il referente ormai inutile e superato:

u scaffaturi (lo scaldino),

u mmuccaturi (il fazzoletto),

u custureri (il sarto),

a ppaccarazioni (la miseria)

i sgrèi (i soldi)

e molte espressioni caratteristiche locali:

ma quantu sì mpallera!

(che imbrogliona che sei!),

t’àssina llampari!

(che ti possano fulminare!)

sulla bocca di tutti sino a poco tempo fa, sono  cadute in disuso.

Una nutrita fascia di giovani disconosce quasi  del tutto vocaboli, proverbi, locuzioni, modi di  dire che ancora, tenacemente, una scarna schiera  di parlanti anziani riesce a mantenere vivi.

Scopo del presente lavoro diventa, dunque,  anche quello di recuperare un numero, purtroppo  esiguo, di parole cadute in disuso, attraverso una  trascrizione con un minimo di normativa grafica  in grado di cristallizzare i fonemi del dialetto  niscemese, prima che i mass-media ne cancellino  definitivamente il ricordo.

Dalla lettura delle parole “recuperate”* si delineerà,  nel decodificatore, un quadro ben preciso  della società niscemese che ha nel dialetto un serbatoio  lessicale designante oggetti concreti e una  quantità considerevole di nozioni astratte, che vengono  richiamate alla memoria nella vita di tutti i  giorni (la devozione religiosa, l’amore, i sentimenti).

Tutto ciò testimonia principalmente la praticità  del Niscemese, che trova un immediato riscontro  nel suo quotidiano impegno di lavoratore.

Non si deve pensare che parlare in dialetto significhi  parlare in modo sgrammaticato.

Il dialetto è il riflesso della condizione sociale  di un nucleo urbano; è la sua immagine storicolinguistica,  il suo abito tradizionale che si indossa  tutti i giorni e che muta in qualche sua parte col  mutare della condizione sociale, attraverso il  tempo.

È un fardello che non ci scrolleremo mai di  dosso perché ci ha segnati sin dalla nascita e che  non può essere certamente rinnegato.

 

* V. soprattutto Angelo Marsiano con il suo libro Canti popolari niscemesi, Lussografica, Caltanissetta, 1988, il teatro dialettale di Mons.  Giuseppe Giugno e le poesie in dialetto di Mario Gori, Ogni iornu ca passa – Ogni iornu ca veni, Lauricella, Niscemi, 2005.